Violenza domestica su donne, bambini e anziani: come intervenire

Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il

La violenza domestica è un problema di salute pubblica di cui sono vittime soprattutto le donne, i bambini e gli anziani1. L’importanza di migliorare l’intervento dei servizi sanitari e sociali nell’interrompere il ciclo della violenza domestica e nel migliorare le condizioni di vita delle vittime dell’abuso è un problema aperto. Il medico e gli operatori sanitari e sociali infatti diventano spesso conoscitori delle dinamiche familiari e confidenti in grado di rilevare i sintomi e i segni di violenze domestiche nei loro assistiti nei casi a rischio non diagnosticati.
Di fronte al rilievo di maltrattamenti “ripetuti” in famiglia (art. 572 c.p.) sussiste la procedibilità d’ufficio (art. 50 cpp) per cui il pubblico ufficiale ha l’obbligo di presentare denuncia all’autorità giudiziaria (art. 331 cpp). Ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia i conviventi di fatto sono equiparati ai coniugi regolarmente sposati (Cass.Pen.sez.IV n.20647 del 2008). Tuttavia, il pregiudizio diffuso di idealizzare la famiglia, il desiderio di difendere la sua rispettabilità nei confronti della società, la paura di minacce, dell’isolamento e di condizionamenti psicologici ed economici sono frequentemente responsabili di una tendenza a nascondere, giustificare o minimizzare la violenza domestica, sia da parte delle vittime e sia da parte degli stessi operatori sociosanitari.
Violenza su Minori. La Child Abuse and Neglect distingue la violenza sui minori in 4 categorie:
• violenza fisica (lesioni personali: contusioni, ustioni, ferite, fratture, ecc.);
• trascuratezza fisica e affettiva (carente tutela genitoriale sulla salute, sicurezza e benessere globale del minore, con diversi indicatori indiretti quali incidenti domestici frequenti e stati di malnutrizione);
• abuso psicologico (atti di omissione e di commissione pericolosi per lo sviluppo psichico: bimbo minacciato, rimproverato o respinto di continuo);
• abuso sessuale (molestie, stupro, incesto, pedofilia).
I minori vittime di abusi, da adulti, tendono più spesso ad esporre i propri figli agli stessi traumi.

Nel 50% circa dei casi di abuso su minori vi è contemporanea violenza domestica sulla partner che va indagata.


Violenza sulle donne.

La violenza domestica sulle donne si può presentare attraverso vari tipi di condotta tendenti a mantenere potere e controllo sulla vittima: violenza fisica o sessuale, minacce e intimidazioni, offese e umiliazioni, colpevolizzazioni, costrizioni all’isolamento, costrizioni economiche, ricatti morali, strumentalizzazioni dei figli, negazione e minimizzazione degli abusi.

Gli abusi spesso hanno spesso un carattere ciclico: all’abuso seguono comportamenti apparentemente gentili (fase della luna di miele) i quali però sotto-intendono minacce di ritorno allo stato di tensione che poi si manifesta (fase della tensione) e culmina di nuovo nella violenza (fase della violenza). Nella fase di costruzione della tensione la donna viene privata delle risorse necessarie a garantirle un’autonomia emotiva ed economica e quindi la capacità di autodeterminarsi e interrompere la relazione per cui può sviluppare una bassa autostima ed una dipendenza dall’uomo che abusa di lei con difficoltà emotive a separarsi dal suo partner.

La gravidanza è un periodo considerato a maggior rischio di inizio o di riacutizzazione della violenza domestica.


Violenza su anziani e disabili.

Il pregiudizio diffuso che l’anziano o il disabile siano sempre non in grado di autodeterminarsi tende a legittimare le azioni di chi decide per loro, ma contro la loro volontà.

L’aumentata aspettativa di vita per molte persone non autosufficienti comporta una dipendenza per i bisogni essenziali e quotidiani dall’aiuto di familiari o di terze persone.

I fattori di stress indotti da questa stretta dipendenza possono causare per chi assiste (care-giver) il rischio della sindrome del burnout e per chi viene assistito il pericolo di maltrattamenti psicologici e fisici (art. 572 cp), di abbandono (art. 591 cp, comma 1), di inappropriata somministrazione di farmaci, di contenzione, di isolamento, di circonvenzione d’incapace (art. 643 cp), di trascuratezza (rilevabile ad esempio da segni di scarsa igiene o di malnutrizione) e di varie altre forme di abuso.

Prevenzione e Trattamento. La prevenzione si fonda sullo sviluppo e la diffusione di una cultura contro la violenza, nell’interrompere i cicli di violenza familiare evitando così il ripetersi di abusi intergenerazionali, nell’aiutare le vittime ed anche nel curare gli autori delle violenze.

Indicatori comuni di violenza domestica sono rappresentati dal riscontro ripetuto di lesioni fisiche cutanee da trauma giustificate con reticenza o in modo poco credibile e minimizzate, abuso di alcool e stupefacenti, tentativi di suicidio, segni di violenza sessuale, segni di percosse in gravidanza, richieste di visite mediche ripetute in pronto soccorso o in studio del medico curante, bassa autostima e sensi di colpa, ansia e depressione, sintomi psicosomatici.


L’attitudine mentale degli operatori socio-sanitari che si occupano di abuso, in particolare se ai minori, non può limitarsi solo ad un supporto psicologico, ma dev’essere quella del problem solving con l’individuzione della situazione e poi delle soluzioni operative proponibili.

La gestione di un caso di violenza deve essere condotta sempre in equipe multidisciplinare a tutela di utenti e operatori.

I sanitari che ricevano segnalazioni di maltrattamenti oppure che direttamente li rilevino, dopo una prima valutazione congiunta multidisciplinare, sono tenuti a segnalare il caso al giudice che avvia un’indagine e, sulla base delle perizie necessarie, valuta la situazione per i conseguenti provvedimenti.


L’art. 330 cc afferma che quando il genitore viola o trascura i suoi doveri inerenti alla potestà sui figli o a-busa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio, il giudice può pronunciare la decadenza della potestà sui figli e, per gravi motivi, può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare.

Se i genitori non possono più esercitare la potestà sui figli si avvia presso il Tribunale locale la procedura per la nomina di un tutore (art. 343 cc).

Quando invece la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dar luogo alla pronuncia della decadenza dalla potestà sui figli, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, secondo l’art. 333 cc il giudice può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare, disponendo quindi la sospensione temporanea della potestà sui figli minori finalizzata al compimento di determinati atti.

Se dall’esame delle dinamiche familiari il giudice ritiene che vi siano le condizioni per una recuperabilità dei genitori del minore maltrattato, il trattamento potrà consistere in sostegni assistenziali, nella psicoterapia familiare o individuale, eventualmente anche nell’affido temporaneo e la relazione genitori-figli verrà comunque sostenuta durante il trattamento in vista di un rientro del minore in famiglia.

Se invece la situazione è indicativa di un’irrecuperabilità dei genitori nel loro ruolo, verrà attuata una psicoterapia del minore maltrattato e si provvederà ad una sua collocazione sostitutiva (affido, comunità, adozione).

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