NELLA RETE DELLE OSSESSIONI

Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il

Gesti ripetuti, paure insensate, pensieri fissi, insicurezze ingiustificate.

Oggi non dovete assolutamente pensare alle giraffe, mai, per nessun motivo.

Nel momento stesso in cui proibiamo a noi stessi di pensare a qualcosa, le giraffe, è chiaro che la nostra mente non può che tornare continuamente al tema proibito, le giraffe.

E’ normale, ma dopo un po’ vi stancherete di questo giochino e vi dimenticherete delle giraffe.

Nelle persone affette da Disturbo Compulsivo Ossessivo ( DOC ), invece, questo diventa un pensiero molesto che si infila in ogni recesso della mente ed occupa tempo e spazio, rovinando la giornata, i rapporti sociali, la concentrazione sul lavoro, insomma la vita intera.

I pensieri intrusivi tipici delle ossessioni, fanno infatti riferimento ad eventi negativi, accaduti o soltanto immaginati, che generano allarme nel paziente, per esempio la paura di una contaminazione dopo aver toccato una maniglia, o di non aver chiuso bene il gas prima di uscire di casa, oppure immagini mentali che lo spaventano mettendo in discussione la sua moralità come una bestemmia in chiesa, l’impulso di picchiare una persona indifesa, un atto sessuale perverso.

Nel momento stesso in cui il paziente si forzerà di allontanare da sé il pensiero proibito, questo continuerà a tormentarlo per tutto il giorno.

Per neutralizzarlo, il paziente metterà in atto una serie di comportamenti compulsivi, disinfettarsi le mani in continuazione, controllare per l’ennesima volta la posizione della manopola in cucina, oppure ripetere come un mantra preghiere purificatrici che lo possano mondare del pensiero impuro.

Tentativi di soluzione alla ricerca di un senso di sollievo che ben presto svanisce e rigetta il paziente nello sconforto.

Si calcola che su cento bambini nati oggi, due o tre svilupperanno nell’ arco della propria vita il disturbo.

In questo momento ne soffre circa l’1.5 – 2% della popolazione generale.

In Italia si calcola quasi un milione di pazienti.

Si tratta di uomini e donne, disoccupati o professionisti, laureati o con basso livello di istruzione, giovani e vecchi, senza distinzione, anche se il disturbo compare più frequentemente tra i sei ed i quindici anni nei maschi e tra venti ed i ventinove nelle donne.

I primi sintomi si manifestano nella maggior parte dei casi prima dei venticinque anni ed in bassissima percentuale dopo i quaranta.

In ogni caso il disturbo tende a perdurare.

Poco chiare sono però le cause.

Cosa spinge una persona a dedicare tutto quel tempo ad allineare meticolosamente le carte di lavoro con l’angolo della scrivania?

Perchè quella mamma è terrorizzata all’ idea di fare del male al suo bambino tanto da evitare qualsiasi contatto?

Chi soffre di DOC ha paura che una propria azione od omissione possa provocare una disgrazia , se non ordino le carte sul tavolo succederà qualcosa di terribile, se tocco il mio bambino certamente lo ucciderò, e l’attività ossessiva è finalizzata a prevenire la colpa di non essere stato abbastanza attento.

Alla base ci sarebbe insomma il timore di poter essere responsabili di un evento catastrofico, e dunque una particolare vulnerabilità al senso di colpa.

Accade a coloro che crescono in contesti familiari severi, con molte regole e principi morali ferrei.

A quelli che da piccoli hanno avuto un genitore molto critico, poco affettivo, concentrato sulle performances e soprattutto incapace di ricucire i rapporti dopo un rimprovero, tipica incapacità di riconciliare è mettere il muso.

Tutto questo può generare un senso di inadeguatezza.

Fa male anche l’eccesso opposto, figli iperprotetti e senza autonomia, con genitori ansiosi ed iporesponsabilizzanti.

Accanto alle colpe di mamma e papà, però, nell’ insorgenza del disturbo trovano posto anche le esperienze fatte a scuola o nel gruppo dei pari.

Studi sui gemelli omozigoti separati alla nascita hanno poi mostrato che nella malattia può essere presente una componente ereditaria.

Si parla di familiarità, nel senso che tra consanguinei è più facile trovare un paziente con DOC rispetto alla popolazione generale.

Per noi terapeuti cognitivo- comportamentali l’importante è intendersi su cosa si trasmette, un gene, o piuttosto un’abitudine familiare, un comportamento.

La certezza, per fortuna, è che si può guarire.

Con la terapia cognitivo – comportamentale, a volte abbinata all’ intervento farmacologico.

Non deve mancare il supporto dei familiari e degli amici che devono evitare di ricadere anche loro nel circolo vizioso generato dalle ossessioni del paziente.

Né accomodamento né antagonismo, insomma, ma gentile fermezza nel contrastare l’attività ossessiva del loro caro.

Dal DOC si guarisce se viene riconosciuto e trattato adeguatamente.

Dopo la diagnosi, il primo lavoro che sI affronta con il paziente è quello di definire chiaramente qual è l’evento che scatena l’ansia, il pensiero ossessivo associato e qual è il rituale che si mette in atto per ridurre il disagio.

Una volta chiaro il meccanismo, noi terapeuti esponiamo il paziente allo stimolo che gli provoca disagio per un periodo di tempo maggiore di quello che sarebbe normalmente tollerato.

Per esempio, a chi ha paura del contagio da oggetti contaminati, si chiede di tenere la mano sulla maniglia di una porta per qualche minuto, lavorando sull’ accettazione dell’ansia.

In seguito si lavora alla prevenzione della risposta, che consiste nel bloccare per qualche tempo quelle azioni che normalmente seguirebbero la situazione temuta, in questo caso chiedendogli di non lavare le mani, per un lasso di tempo gradualmente maggiore, dopo aver toccato la maniglia.

Accanto alla psicoterapia può essere previsto un intervento farmacologico, si tratta in genere di antidepressivi SSRI, farmaci che agiscono sulla regolazione dell’umore.

La terapia psicofarmacologica può essere un buon alleato, a volte è necessaria in fase iniziale per sbloccare una impasse o agire su una condizione concomitante, per esempio la depressione che a volte si presenta insieme ai disturbi ossessivo – compulsivi.

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