MALATTIA DI ALZHEIMER, SCOPERTA L’ORIGINE DELLA MALATTIA

Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il

La morte dell’area del cervello che produce la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per alcuni importanti meccanismi di comunicazione tra i neuroni, sarebbe la causa dell’Alzheimer.

Questa patologia, solo in Italia, colpisce circa mezzo milione di persone oltre i 60 anni di età. 

E’ stata effettuata un’accurata analisi morfologica del cervello e si è scoperto che quando vengono a mancare i neuroni dell’area tegmentale ventrale, che producono la dopamina, il mancato apporto di questo neurotrasmettitore provoca il conseguente malfunzionamento dell’ippocampo, anche se tutte le cellule di quest’ultimo restano intatte”.

Senza la dopamina si perde la memoria.


Negli ultimi 20 anni i ricercatori si sono focalizzati sull’area da cui dipendono i meccanismi del ricordo, ritenendo che fosse la progressiva degenerazione delle cellule dell’ippocampo a causare l’Alzheimer.

Le analisi sperimentali, tuttavia, non hanno mai fatto registrare al suo interno significativi processi di morte cellulare.

Nessun ricercatore aveva finora pensato che potessero essere coinvolte altre aree del cervello nell’insorgenza della patologia.

L’area tegmentale ventrale non era mai stata approfondita nello studio della malattia di Alzheimer, perché si tratta una parte profonda del sistema nervoso centrale, particolarmente difficile da indagare a livello neuro-radiologico.


La ricerca ha chiarito i dettagli molecolari alla base della mancata comunicazione fra cellule nervose che, nel tempo, porta alla perdita di memoria.

I ricercatori si sono resi conto che – come in un effetto domino – la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita di memoria.

Lo studio ha evidenziato, già nelle primissime fasi della malattia, la morte progressiva dei soli neuroni dell’area tegmentale ventrale e non di quelli dell’ippocampo.

Questo meccanismo è risultato perfettamente coerente con le descrizioni cliniche della patologia di Alzheimer fatte dai neurologi

L’assenza di dopamina influisce anche sul buon umore.

Si è verificato che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento.

Per cui, con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un’alterazione patologica dell’umore.


Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell’Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria i pazienti riferiscono un calo nell’interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione.

La depressione ‘è un campanello di allarme.


I cambiamenti nel tono dell’umore non sarebbero – come si credeva fino ad oggi – una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer, ma potrebbero rappresentare piuttosto una sorta di campanello d’allarme dietro il quale si nasconde l’inizio subdolo della patologia.

Perdita di memoria e depressione sono due facce della stessa medaglia”.

Alzheimer e Parkinson: obiettivo comune per la cura


Le prospettive che questo studio schiude sono molteplici.

Il prossimo passo dovrà essere la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di farci accedere ai segreti custoditi nell’area tegmentale ventrale, per scoprirne i meccanismi di funzionamento e degenerazione.

Inoltre, i risultati ottenuti suggeriscono di non sottovalutare i fenomeni depressivi nella diagnosi di Alzheimer, perché potrebbero andare di pari passo con la perdita della memoria.

Infine, poiché anche il Parkinson è causato dalla morte dei neuroni che producono la dopamina, è possibile immaginare che le strategie terapeutiche future per entrambe le malattie potranno concentrarsi su un obiettivo comune: impedire in modo ‘selettivo’ la morte di questi neuroni.

I dati sperimentali hanno chiarito il perché i farmaci cosiddetti “inibitori della degradazione della dopamina” – la cui validità terapeutica è stata nel tempo molto discussa – si rivelino utili solo per alcuni pazienti.

Funzionano unicamente nelle fasi iniziali della malattia, quando ancora sopravvive un buon numero di neuroni dell’area tegmentale ventrale.

Con la morte di tutte le cellule di quest’area, la dopamina smette del tutto di essere prodotta e il farmaco, ovviamente, non è più efficace. 

Pur essendo ancora lontana la validazione di una cura efficace per l’Alzheimer, i risultati della ricerca aggiungono un tassello decisivo nella comprensione dei meccanismi da cui prende avvio questo temibile morbo.

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