LA SOLITUDINE DELLA FAMIGLIA

Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il

LA SOLITUDINE DELLA FAMIGLIA

L’Istat ha pubblicato, in questi giorni, un rapporto che descrive un Paese che rischia di perdere il suo futuro a causa della precarietà sociale che frena fatalmente il desiderio di avvenire. Il dato più sintomatico è il previsto brusco calo della natalità. Programmare la nascita di un figlio è un gesto che implica una quota di fiducia necessaria nei confronti dell’avvenire. A questa fiducia, sotto i colpi dell’endemia e delle sue conseguenze sociali ed economiche, è subentrata la paura. Come  scriveva Hannah Arendt, dare la vita ad un figlio è un gesto che ribadisce che gli esseri umani non sono fatti per morire ma par nascere. La vita che perde il suo legame profondo con l’evento della nascita non sarebbe più vita umana. L’intrusione traumatica dell’endemia da Covid 19 ha frantumato le nostre comunità e ha inevitabilmente traumatizzato la nostra fiducia nel futuro. L’angoscia persecutoria del contagio ha lasciato progressivamente il posto ad una angoscia depressiva e così il futuro rischia di diventare un oggetto malinconicamente perduto. Tutti ce lo chiediamo, ma nessuno è in grado di dare risposta alla domanda se riusciremo a ritrovare davvero il mondo come lo amavamo prima. Nel buio che ci circonda e che rischia di diventare sempre più fitto, la comunità che ha dato maggiore prova di resistenza è stata quella della famiglia. Dopo quella sanitaria la prima risposta alla morte ed alla violenza è stata quella offerta, con grande generosità, dalle famiglie italiane. 

Una comunità tanto trascurata quanto fondamentale ha resistito nel suo compito educativo tenendo silenziosamente e quotidianamente insieme i pezzi di un Paese sgomento. Il problema non è più stato, finalmente, quello tutto ideologico di classificare le famiglie di sangue e di natura dalle altre, ma quello di fare esistere il gesto fondamentale sul quale si fonda l’identità e la funzione simbolica di ogni famiglia e cioè il gesto dell’accoglienza dell’inerme, della custodia della vita schiacciata dalla paura, dell’umanizzazione della cura, della testimonianza di un legame che resiste alla distruzione e della responsabilità nei confronti dei nostri figli. Il rapporto Istat non nega affatto l’esistenza di questa straordinaria forza della famiglia, ma sottolinea l’incidenza che su di essa sta esercitando l’angoscia depressiva nei confronti di un avvenire incerto. Questo evidenzia che una politica del lavoro non serve solo la vita economica di un Paese, ma la sua vita in quanto tale. In un dibattito sulla ricostruzione che rischia di essere sequestrato dal problema della sicurezza, la nascita di un figlio appare come un fiore stretto nella pietra, come il segno tangibile che la vita può ricominciare ogni volta anche quando sembra che il mondo abbia esaurito i suoi giorni. Siamo fatti per nascere infinite volte e non per morire. Per questo la nascita di un figlio è sempre una vera festa, essa porta con se l’augurio che la vita sia sempre più forte della morte. Le istituzioni hanno però il compito decisivo di non lasciare le nostre famiglie a se stesse, soprattutto quelle economicamente più fragili e vulnerabili. Devono fare estrema attenzione a non rendere la nascita di un figlio una possibilità preclusa ai più deboli. Sarebbe un disastro antropologico che aumenterebbe in modo traumatico le disuguaglianze sociali spegnendo quella luce che da sempre investe la nascita di un figlio. Se questo tempo di crisi mostra che è solo l’esistenza di un figlio che può dare avvenire ad un Paese, ribadisce anche, per l’ennesima volta, che è solo l’esistenza del lavoro per tutti che può dare dignità alla vita umana.

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