IMPATTO EMOTIVO DEL COVID , DEI LOCKDOWN E DELLA DIDATTICA A DISTANZA SUI BAMBINI E ADOLESCENTI
Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il
Impatto emotivo del Covid, dei lockdown e della didattica a distanza sui bambini ed adolescenti.
La sveglia suona, ma non c’è fretta. Basta accendere il computer, fare un check a microfono e videocamera, uno al look, e la scuola con la DaD arriva a casa, più o meno puntuale a seconda della connessione internet. A casa, però, non ci sono i compagni, manca la complicità tra i banchi di scuola, stare attenti alle lezioni è più difficile, distrarsi invece è facilissimo. Il passaggio dalle lezioni in presenza ha sconvolto in modo significativo la vita degli studenti e delle loro famiglie, creando un rischio potenziale per il benessere mentale di bambini e adolescenti. Un brusco cambiamento nell’ambiente di apprendimento e le limitate interazioni e attività sociali hanno generato una situazione insolita per lo sviluppo cognitivo dei giovani studenti. Forse però, non si tratta solo di una sensazione: gli studi hanno dimostrato che eccessivo attaccamento, disattenzione e irritabilità sono le condizioni psicologiche più gravi in bambini ed adolescenti. Noi esperti di neuroscienze suggeriamo come sia essenziale per la comunità scientifica e gli operatori sanitari, ma anche per chi lavora nelle scuole e per le famiglie, valutare e analizzare l’impatto psicologico causato dalla pandemia di coronavirus sui bambini e sugli adolescenti. Infatti, svariati disturbi mentali possono iniziare a manifestarsi in queste fasi della crescita. Le scuole, i genitori e le istituzioni sanitarie dovrebbero implementare linee guida di primo soccorso per assistere i bambini nelle loro difficoltà emotive e psicologiche.
Convivere forzatamente in spazi che diventano angusti a causa del vincolo assoluto ed imposto anche dall’organizzazione della “nuova scuola”, crea disagio per tutti. In più, andare a scuola senza prepararsi per uscire di casa, senza lo zaino e gli amici da incontrare, senza l’ansia di arrivare in ritardo o senza scuse per non andarci, priva i bambini di un’esperienza fondamentale, ovvero l’informazione sensoriale ed emotiva che deriva dalla routine delle lezioni, delle difficoltà e delle gioie della scuola, e che favorisce lo sviluppo sociale ed emotivo del bambino. Si tratta di una situazione che, solo in Italia, tocca un bacino di 8 milioni di studenti. Su scala globale, una mappatura realizzata dall’Unesco ha fatto emergere che sono oltre 580 milioni gli allievi colpiti in prima persona dalla chiusura delle scuole, dopo i picchi di quasi 1 miliardo raggiunti nella prima ondata della pandemia. La pandemia impatta sulla salute dei bambini attraverso differenti fattori, i più importanti sono il distanziamento sociale, la mancanza di routine, l’ansia e l’incertezza legata alla malattia e la paura dei genitori e l’(in)efficacia della didattica.
Non avere contatti fisici, reali, con i propri pari impoverisce la “dieta” del nostro cervello emotivo. Nei più piccoli, soprattutto di sesso maschile, l’impossibilità di giochi fisici, resi possibili dagli spazi e dall’appartenenza ad un gruppo, generano irrequietezza e sintomi psicosomatici. Negli adolescenti e preadolescenti, che vivono un’età in cui l’inclusione e l’accettazione nel gruppo di pari è meta essenziale da raggiungere, la chiusura forzata può aggravare quel senso di solitudine piuttosto frequente in fase dello sviluppo. Di conseguenza, aumenta la propensione all’isolamento con il rinchiudersi in camera e passare ore su internet, e la mancanza di contatti fisici con i pari finisce per trasformarsi in un fattore di rischio per conflitti in famiglia. Questa situazione sta impedendo l’interazione.
La routine scolastica è un meccanismo importante che permette ai giovani di organizzarsi. Anche i bambini di età inferiore ai 2 anni notano l’assenza di assistenti regolari (ad esempio, i nonni) e possono diventare irrequieti e destabilizzarsi, nell’attesa che il loro “ordine” venga ripristinato. Con le scuole chiuse, i giovani perdono un punto di riferimento e il loro senso di identità potrebbe vacillare. Andare a scuola poteva essere una sofferenza prima della pandemia, ma almeno rappresentava una routine da rispettare. Inoltre, la precarietà e l’incertezza dei provvedimenti presi richiede grandi capacità di adattamento.
Anche se gli adulti non si rivolgono quasi mai direttamente ai bambini quando parlano del virus e della pandemia in corso, nella convinzione di proteggerli tenendoli lontani da questi discorsi, i più piccoli sentono lo stesso ciò che si cerca di nascondere. Questo comportamento da parte degli adulti finisce per essere nocivo per i bambini, basti pensare che i giovani con informazioni inadeguate sul motivo per cui sono state adottate misure di quarantena sono risultati più ansiosi. La preoccupazione degli adulti per le implicazioni di COVID-19 potrebbe compromettere la loro capacità di riconoscere e rispondere in modo delicato agli stimoli o al disagio dei più piccoli. I bambini sono ben sintonizzati con gli stati emotivi degli adulti, e l’esposizione a comportamenti inspiegabili e imprevedibili è percepita come una minaccia, con conseguente stato d’ansia. I bambini più piccoli, tra i 3 e i 6 anni, esposti a livelli elevati di stress e isolamento sono più a rischio di uno sviluppo atipico permanente, poiché il loro cervello è ancora in fase di sviluppo. I sintomi manifestati più importanti sono eccessivo attaccamento, paura che i membri della famiglia possano contrarre l’infezione, disattenzione, continue domande ed irritabilità.
In generale, eccessivo attaccamento, disattenzione e irritabilità sono sempre state considerate condizioni psicologiche degne di attenzione, in tutte le fasce d’età. Il disagio dei bambini e degli adolescenti può anche concretizzarsi in comportamenti esternalizzanti, come aggressività e litigiosità, che vanno a sostituire reazioni più comuni e prevedibili come pianto, tristezza o preoccupazione
La fisicità della scuola genera un contenitore che aiuta a mantenere la “barra a dritta”. Orari, verifiche puntuali, una routine di regole. Stare a casa determina anarchia. Questa situazione amplifica una delle sfide più difficili ma anche più importanti che la scuola ha: rendere autonomi, consapevoli e protagonisti assoluti della propria maturazione di conoscenze i ragazzi. Purtroppo, ancora oggi, il sistema scolastico rimane ancorato al senso del dovere, dell’obbligo, del voto come obiettivo; spesso i ragazzi non si sentono protagonisti del loro processo di apprendimento ma comparse, o meglio, contenitori di informazioni. Il ruolo dell’insegnante direttivo che dalla cattedra detta la conoscenza, oltre ad essere criticato da tutte le moderne nozioni psicopedagogiche, non funziona per nulla bene a distanza. È necessario, soprattutto in questo momento, motivarli e coinvolgerli maggiormente durante le lezioni altrimenti li continueremo a trovare barricati dietro lo schermo di un PC, magari intenti a chattare con il cellulare mentre l’insegnante spiega.
Noi esperti in neuroscienze consigliamo, una sinergia vincente per formare alla resilienza. La scuola non è solo insegnare, così come la sanità non è solo curare. Entrambe devono promuovere la salute con azioni di supporto allo sviluppo del sistema emotivo: come a scuola si fa ginnastica per potenziare la psicomotricità e la capacità aerobica, così si potrebbe anche insegnare a potenziare la capacità di gestione dello stress e la normalizzazione delle emozioni negative, grazie all’aiuto di esperti a supporto di piani educativi innovativi. La conoscenza riduce l’ansia e aumenta la resilienza. I bambini hanno bisogno di informazioni oneste sui cambiamenti all’interno della loro famiglia. Quando queste informazioni sono assenti, i bambini cercano di dare un senso alla situazione da soli. È essenziale esporre i bambini a poche ma corrette informazioni su COVID-19 attraverso diverse fonti, come il telegiornale della sera, parlando con loro delle notizie ed eventualmente facendo da filtro. Gli adulti sono i primi a preoccuparsi di come si sentono i bambini, ma a volte sono i primi a non dare l’esempio condividendo alcuni dei loro sentimenti e parlando di emozioni. Per questo, le conversazioni potrebbero finire per essere dominate solo dagli aspetti pratici della malattia. La comunicazione con i bambini più piccoli non deve basarsi esclusivamente sulla semplificazione del linguaggio o dei concetti utilizzati, ma deve anche tener conto della comprensione della malattia. Tra i 4 e i 7 anni circa, la comprensione è sostanzialmente influenzata dal “pensiero magico”, un concetto che descrive la convinzione del bambino che pensieri, desideri o azioni non correlate possano causare eventi esterni – e che una malattia possa essere provocata da un particolare pensiero o comportamento. L’emergere del pensiero magico avviene più o meno nello stesso periodo in cui i bambini sviluppano un senso di coscienza, pur avendo una scarsa comprensione di come si diffonde la malattia. Gli adulti devono stare attenti che i bambini non si rimproverino in modo inappropriato o non avvertano la malattia come una punizione per un cattivo comportamento da parte loro. Ascoltare i bambini e favorire la meta-comunicazione emozionale. Parliamo di come ci sentiamo. La ricerca ha evidenziato che i genitori a volte usano un linguaggio tecnico o fattuale per cercare di ridurre al minimo il disagio dei loro figli. L’assenza di conversazioni incentrate sulle emozioni può lasciare i bambini in ansia per lo stato emotivo degli adulti che li circondano. Questa ansia può inavvertitamente far sì che i bambini evitino di condividere le proprie preoccupazioni nel tentativo di proteggere gli altri, lasciandoli soli ad affrontare questi sentimenti difficili. Comunicare con i bambini su come si sentono e come stanno elaborando le informazioni che ricevono (metacomunicazione) fornirà loro gli strumenti emotivi necessari per affrontare al meglio questo periodo. Ascoltare ciò che i bambini credono rispetto della trasmissione COVID-19 è essenziale, e fornire loro una spiegazione accurata e significativa farà sì che non si sentano inutilmente spaventati o colpevoli. Questo può essere importante anche per sostenere i giovani che affrontano un lutto, questioni legate ai problemi lavorativi dei genitori o a problemi economici familiari. Genitori come capsula di protezione. Attraverso una genitorialità positiva, i genitori, i tutori e i membri della famiglia possono creare routine quotidiane coerenti per evitare l’angoscia (per la mancanza delle precedenti routine quotidiane). Qual è l’atteggiamento positivo che funziona? Non pretendere di avere tutto sotto controllo, ma essere disponibili a parlare delle proprie emozioni – positive o negative che siano – per “normalizzare” anche le emozioni difficili da vivere. Gli adulti devono essere autentici su alcune delle incertezze e delle sfide psicologiche della pandemia, senza travolgere i bambini con le loro paure. Questa onestà non solo offre una spiegazione coerente di ciò che i bambini osservano, ma permette loro anche di parlare delle proprie emozioni e difficoltà in modo sicuro. Normalizzare le loro reazioni emotive e rassicurare i bambini su come la famiglia si prenderà cura l’uno dell’altro aiuta a contenere l’ansia e fornisce un’attenzione condivisa. ,Protezione ma anche autoregolazione con l’esercizio fisico. Di fronte a situazioni difficili le emozioni possono perdere il controllo e portare a reazioni esagerate, con scoppi d’ira o tracolli. Questo è estremamente comune nei momenti dei compiti e in generale in questo momento difficile che stiamo vivendo. L’attività fisica, anche solo per pochi minuti, modifica i neurotrasmettitori nel cervello e può avere un enorme impatto sulla capacità di regolazione dell’emotività. La nostra mente, il nostro cervello e il nostro corpo sono tutti interconnessi. Quando il vostro bambino è sotto pressione, il suo cervello produce alti livelli dell’ormone dello stress, il cortisolo. Produce anche adrenalina. Un aumento del cortisone può aumentare l’ansia e la disregolazione. Quando questo accade, le abilità funzionali e di comunicazione sociale diminuiscono – perché il cervello non può accedere alla corteccia prefrontale, che controlla il funzionamento esecutivo. Questo innesca una risposta di lotta o di fuga portando così un enorme picco di adrenalina. Numerosi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico riduce i livelli di cortisolo e di adrenalina, aumentando la dopamina e altre endorfine; in altre parole, aiuta a migliorare la regolazione emotiva. Inoltre gli esercizi preparano il cervello a concentrarsi maggiormente e a imparare. Possono essere fatti al mattino, prima delle lezioni, oppure al pomeriggio prima dei compiti a casa, o nei momenti in cui il bambino ha bisogno di decomprimersi. Nonostante quanto detto finora, bisogna ricordare che non si conosce ancora molto sugli effetti a lungo termine delle pandemie sulla salute mentale di bambini e adolescenti.
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