DIALOGO CON COVID

Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il

DIALOGO CON COVID 19  

Il nostro orizzonte è addensato da oscure nuvole originate dalle profonde perturbazioni economiche e sociali legate alla pandemia, mentre la mappa della sofferenza psichica generata dal Covid 19 appare frastagliata e per certi versi sorprendente. Il primo paradosso che registro nel mio lavoro clinico è che non aumentano solo i sintomi come angoscia, fobie, ritiro sociale, insonnia, depressione e difficoltà sessuali, ma anche strane forme di benessere. Per comprendere quello che sta accadendo è necessario tenere presente una osservazione clinica di Freud: l’apparizione di un tumore può guarire il soggetto da una grave psicosi. E’ qualcosa che stiamo sperimentando. L’irruzione di un reale orribile, quello del tumore o del Covid 19 e delle sue conseguenze non solo sanitarie ma anche economiche e sociali, si rilevano assai più violente del delirio. Lo psicotico vive separato dalla realtà, il trauma del tumore o del virus lo riporta bruscamente ad una realtà che non può più essere aggirata, liberandolo paradossalmente dalle sue angosce più deliranti. Più semplicemente la realtà si sarebbe fatta più delirante dello stesso delirio. Non deve quindi stupirci se casi clinici soggettivi gravemente compromessi mostrano segni di miglioramento in una condizione come quella che stiamo vivendo. Lo stesso accade con quei giovani pazienti che da anni vivono volontariamente tagliati fuori dal mondo, reclusi nella loro camera, separati da ogni forma di relazione sociale che, con le nuove condizioni di vita dettate dalle misure del distanziamento sociale, manifestano invece un inatteso ritorno alla socializzazione, al dialogo con i loro genitori, alla riapertura della loro vita. In questo cambiamento di posizione ci si legge un insegnamento: tornano alle relazioni proprio quando le relazioni vengono interdette, ma, soprattutto, quando esse appaiono spogliate di ogni contenuto performativo. Al contrario, per tutti coloro che in modo diversi vivevano l’obbligo dell’essere in relazione come una fonte di disagio permanente, il Covid 19 ha consentito di rifugiarsi nelle proprie dimore. In questi casi la quarantena non è stato un incubo, ma un sogno che si realizza, vivere solitari senza dover più sopportare il peso psichico della relazione, trasformando la propria casa in una tana. 

DNon è allora infrequente, ed questo un nuovo sintomo provocato dall’epidemia, verificare la difficoltà diffusa a ritornare all’aperto, ad abbandonare il chiuso. Nulla come il confinamento ha realizzato il miraggio  della decontaminazione e della sicurezza assoluta. Il distanziamento sociale non si manifesta solo come un’esigenza sanitaria, ma anche come un fantasma arcaico dell’essere umano: evitare lo sconosciuto, l’aperto e l’ ignoto. Non c’è dubbio che per diversi soggetti il confinamento si sia rilevato una soluzione radicale del problema della relazione. Una nuova pulsione claustrofilica si è sviluppata accanto all’angoscia  claustrofobica che ha spinto invece molti a desiderare di ritornare il prima possibile all’aperto. Poi ci sono ovviamente i chiari aggravamenti, che sono di gran lunga più numerosi: angoscia  di impoverimento legata alla precarizzazione della vita, angoscia depressiva  accompagnata a fenomeni di insonnia, crisi di panico , impotenza sessuale e somatizzazioni varie. Si tratta di una particolare configurazione depressiva che, anziché patire il peso del passato, il depresso vive sempre all’ombra di ciò che sente di aver perduto nel proprio passato, mostra quanto il sentimento della perdita investa il nostro futuro realizzandosi nella fantasia apocalittica di non ritrovare  più il mondo come lo conoscevamo prima. Anche per coloro il cui narcisismo necessita dello specchio degli altri per rendere la propria vita vivibile,il confinamento ha avuto un effetto depressivo segnando il ripiegamento mesto della loro immagine appassita perché privata del nutrimento necessario dello sguardo degli altri. In questi casi  il ricorso al cibo, all’alcool o a qualunque altra sostanza, unito ad una irritabilità di fondo, si  è incentivato. In particolare il cibo appare come lo strumento più facilmente a portata di mano per compensare un difetto di gratificazioni sociali. La quarantena ha messo alla prova le nostre risorse emotive più profonde. Ha imposto una benefica disintossicazione psichica dalla nostra iperattività e dalle nostre dipendenze quotidiane più inessenziali costringendoci ad una sorta di introversione obbligatoria. Per questa ragione la frustrazione legata alla privazione della libertà ha colpito soprattutto i giovani ed i bambini e, in seconda battuta, quegli adulti più simili ai giovani ed ai bambini, ovvero più incapaci di coltivare interessi profondi senza ricorrere alla convivialità dell’incontro o alla socializzazione. Sarà molto probabile, con la progressiva riapertura, attendersi un incremento considerevole delle fobie sociali. Un  paziente gravemente  ossessivo mi ha confidato che uscendo di casa per la prima volta dopo una lunga quarantena, di aver visto con sorpresa  che il mondo assomigliava al suo sintomo: angoscia di contaminazione, ritualizzazione, lavaggi ripetuti delle mani, ossessione per lo sporco, distanziamento ed evitamento del contatto con i propri simili. Mi sembra di essere a casa, ha concluso non senza una certa soddisfazione.    

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