L’AUDACIA PER RICOMINCIARE
In questo momento storico stiamo vivendo il tempo di un trauma collettivo, se il trauma è un evento che spezza violentemente la nostra rappresentazione ordinaria del mondo introducendo la dimensione angosciante dell’inatteso, dell’imprevedibile e dell’ingovernabile. Freud definisce un evento traumatico quando non è in alcun modo prevedibile e quindi rende impossibile qualunque forma di difesa. Nessuno infatti era preparato ad una emergenza come quella che stiamo vivendo. Uno spartiacque si è scavato tra la nostra vita come era prima e come sarà dopo. Il tempo del dopo trauma sarà il tempo dell’audacia. In questo periodo di crisi acuta appare interpreta innanzitutto dai medici, infermieri e dal personale sanitario impegnati direttamente sul fronte tremendo della malattia. Non per spirito di avventura , ma per necessità, o, se si preferisce, per dovere etico e professionale. E’un notevole esempio di rigore e passione, non indietreggiare di fronte al male, essere dove sono il dolore e la paura più grande. Possiamo limitarci alla prudenza, necessaria per difendere la nostra vita e quella degli altri al fine di rallentare la catena del contagio , ma possiamo anche cominciare a far leva sull’ audacia.
Si tratta di guardare oltre mentre ancora si è chiusi nelle nostre case, impietriti dalla paura che, come è noto, restringe forzatamente l’orizzonte del mondo. Si può rispondere in due modi alla lezione potente del trauma, o fingere di tornare a vivere come prima, come se nulla fosse accaduto, dunque disconoscere la portata catastrofica del suo evento, oppure provare a trarre dalla questa impensata negativa una forza nuova. Essere audaci significa non misconoscere il trauma, ma prenderlo come una occasione potente di trasformazione. La crisi più profonda, per noi terapeuti, può sempre rilevarsi come l’occasione straordinaria di una ripartenza. E’la cicatrice che riconosciamo in tutte le persone che si sono trovate di fronte al rischio della loro morte o coinvolti in un lungo periodo di privazione e dolore e che esistendo e sopravvivendo non sono più riusciti a vivere come prima. Come se l’incontro con la possibilità concretissima della loro fine avesse esaltato la loro pulsione di vita. La loro necessità è diventata quella di voler spendere tutto il tempo che restava della loro vita per l’essenziale, eliminare il superfluo, gli ingombri, l’impotenza e l’utopia astratta per coltivare la potenza vitale dell’essenziale. Questa per me è la formula dell’audacia: liberarsi dei pesi che ostacolano il dispiegamento della forza vitale e scommettere sulla potenza affermativa di questo dispiegamento. Stiamo sperimentando che è diventato possibile quello che ritenevano impossibile. Nel male questo è avvenuto con l’epidemia. Nessuno poteva immaginare che il mondo potesse fermarsi e la morte dilagare. Nel bene, sotto i nostri occhi le formidabili energie creative che si sono mobilitate in risposta al trauma. Solidarietà, flessibilità, importanza finalmente riconosciuta alla sanità ed alla scuola pubblica ed ai beni comuni. L potenza di quello che sta accadendo non può esaurirsi nella sola risposta collettiva del distanziamento sociale. Bisogna accorciare i tempi, liberare le forze produttive, favorire progetti, visioni ed azioni inaudite almeno quanto lo è stato nel male, il trauma dell’epidemia. Ogni trauma esige che la ripartenza sia audace perchè la sua potenza negativa possa convertirsi in una opportunità affermativa. L’impossibile che diviene possibile non deve accadere solo sul piano angosciante di un dramma totalmente inatteso e sconvolgente che si è realizzato come il nostro peggior incubo, ma deve ispirare anche la dimensione generativa delle nostre scelte future e cioè l’audacia di imprese collettive ritenute impossibili che diventano finalmente possibili.
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