RAGAZZI AFFASCINATI DAL MALE, TEMONO LE DONNE
Pubblicato da Dott. Adriano Bruni il
Un partner violento, uno stupratore e un omicida sono figure diverse. E non solo le persone, anche i fatti hanno la loro storia. Il mio lavoro mi permette di riconoscere somiglianze, atmosfere comuni. Mi aiuta a risalire a radici psicologiche, culturali, familiari, sociali che, come tutte le radici, sono intrecciate. Alla loro confluenza ritrovo l’idea della donna come individuo spogliato di soggettività, da rendere indipendente, controllare, piegare alla propria volontà. La donna come palestra dove esercitare, attraverso il possesso, l’affermazione della propria danneggiata mascolinità. Spesso la violenza è il rigurgito di un maschio primitivo che odia le donne e tutto ciò che richiede capacità di leggere e amare la complessità dei contesti e delle relazioni che cambiano. Maschi spodestati dalla storia che reagiscono in modo paranoide, per esempio rendendo letterale quella brutta ma antica espressione che indica il rapporto il rapporto sessuale come “possedere”. La differenza culturale fra le generazioni c’è ed esiste. Decenni di cultura femminista e decostruzione del sessismo hanno dato risultati. Sono moltissimi i maschi che oggi desiderano lavorare sulla propria educazione, mettendo in discussione la cultura ricevuta e imparando nuove culture della relazione. Proprio perché c’è stato un cambiamento culturale, c’è una frangia psichica che, incapace di elaborazione e spaventata dal cambiamento, radicalizza il suo attaccamento agli aspetti più primitivi e arcaici del maschilismo. Per quanto riguarda i più giovani farei un discorso a parte sull’educazione ricevuta in una scena collettiva sempre più virtuale e alimentata da superpoteri illusori, muscolature – corazza, dosi pesanti di video – violenza, cyberporn in età precoce. E conseguente confusione tra fiction e vita. Ascoltandoli, ho visto forme di pseudo – socialità che sono invece solitudine culturale e affettiva. Ancor più allarmante è la perdita di contatto e relazione con un idea viva e vitale del corpo altrui. L’idea che se non è fermata in immagini la vita non è vita è un problema drammatico del nostro tempo. Si è persa la differenza tra immagini che raccontano un’interiorità piena, come fa il cinema, e immagini che sostituiscono un’interiorità vuota, come fanno spesso i social
Ecco dunque l’uso dell’immagine narcisistica come conferma pubblica di essere vivi e potenti, mostrando le proprie prove di forza per negare la propria debolezza. La ricerca di immagini di violenza sono forme di fascinazione per il male con radici psichiche profonde, ma ramificazioni superficiali sui media e sui social. Il voyerismo di chi non ha mai pensato che l’etica è un ottica come direbbe Levinas. Che il mio sguardo sull’altro e sul mondo coincide con la mia etica. Penso che una parte consistente di questi giovani si è nutrita di violenza visiva, dipendenza da videogiochi violenti, film e serie tv che hanno eccitato i loro neuroni senza però connetterli in forme di riflessione e consapevolezza di cosa è il dolore. Non ci sono ricette come educarli. Ma credo sia importante toccare sia le radici della violenza sia i terreni in cui proliferano. Saper cogliere le gradazioni, mai sottovalutare ma nemmeno fare di ogni erba un fascio. Leggere i contesti: famiglia , scuola, gruppo di pari. Coinvolgere, parlo ovviamente dei più giovani, e appassionare a un racconto alternativo a quello millenari dell’inferiorità femminile. Disincentivare tanto il paternalismo quanto la prepotenza. Leggere storie e vedere film che promuovono un lavoro cognitivo che disattivi assurdità tipo se l’è andata a cercare”. Parlare di violenza nelle relazioni affettive, ma non come fosse l’ora di educazione civica, e lavorare anche con le ragazze, ricordando che incontri pericolosi e relazioni tossiche sono spesso figli della paura di non valere abbastanza.
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